Solo ieri è accaduta la ricorrenza "Giornata Mondiale dell'Autismo 2012", la V Giornata Mondiale della consapevolezza dell'autismo, sancita dalle Nazioni Unite con la risoluzione 62/139 del 18 dicembre 2007.
Per sensibilizzare l'opinione pubblica, i monumenti del mondo si son illuminati di blu: un'iniziativa internazionale battezzata' Light it up blue' che ha coinvolto molti Paesi, tra cui Roma con l'Arco di Costantino.
Da New York, a Rio de Janeiro, da Sidney a Riyad diversi luoghi e edifici si son illuminati per indicare la sensibilità delle amministrazioni locali rispetto al problema.
Senza far riferimento alcuno alle numerose definizioni di "autismo" che si trovano in rete, e alle numerose campagne di sensibilizzazione che contribuiscono in maniera significativa a far conoscere questo aspetto umano patologico e non irreversibile, per il quale è fondamentale la presenza di una rete di servizi specialistici accessibili e diffusi in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale, mi piacerebbe porre alla Vostra attenzione un articolo pubblicato qualche giorno fa sul blog del "Corriere della sera":
Per sensibilizzare l'opinione pubblica, i monumenti del mondo si son illuminati di blu: un'iniziativa internazionale battezzata
Da New York, a Rio de Janeiro, da Sidney a Riyad diversi luoghi e edifici si son illuminati per indicare la sensibilità delle amministrazioni locali rispetto al problema.
Senza far riferimento alcuno alle numerose definizioni di "autismo" che si trovano in rete, e alle numerose campagne di sensibilizzazione che contribuiscono in maniera significativa a far conoscere questo aspetto umano patologico e non irreversibile, per il quale è fondamentale la presenza di una rete di servizi specialistici accessibili e diffusi in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale, mi piacerebbe porre alla Vostra attenzione un articolo pubblicato qualche giorno fa sul blog del "Corriere della sera":
Iole Ioele, 74 anni portati benissimo, racconta con leggerezza e profondità la sua storia straordinaria di donna che è riuscita a scendere nel mondo del figlio per riportarlo nella nostra realtà. Un racconto che sembra un film. Più incredibile di Rain Man. Ma anche più doloroso: «Ci sono stati giorni in cui speravo che Mimmo non si svegliasse più, in cui pregavo Dio che se lo portasse via un minuto prima di me, in cui pensavo di farla finita», ricorda. «Poi ho incontrato Giovanni Bollea, il medico che ha rivoluzionato la psichiatria infantile in Italia, e che mi ha insegnato a lottare. E a capire che anche nei casi più gravi c’è un margine di recupero, anche solo l’un per cento di miglioramento è una conquista. Per questo mi sento una vincente nella malattia di mio figlio e ho accettato di parlare con voi. Non per farmene un vanto, ma per dare coraggio a chi ha toccato il fondo dell’angoscia».
L’inferno di Iole comincia nel 1959. Mimmo, un bambino sano, precoce e molto intelligente, una mattina si sveglia diverso dal solito: «Sfuggiva il mio sguardo, chiamava me “io” e se stesso “tu”». Erano i sintomi che la malattia si era impossessata di lui. «Mimmo aveva perso la sua personalità. Come avviene in questi casi, questi bambini rifiutano la realtà, e poi lo diventano davvero. E i primi sintomi compaiono all’età di tre anni».
Oggi Iole conosce bene la materia, ma nel 1959 aveva solo 22 anni e un diploma di maestra elementare. «Mimmo era cambiato», riprende, «ai miei occhi era chiarissimo che ci fosse qualcosa che non andava, ma tutti la pensavano diversamente: mio marito, la mia famiglia, i maggiori luminari che avevo consultato. Per la società di allora un bambino o era intelligente o era scemo. È stato pazzesco per me. Il padre lo redarguiva continuamente, lo maltrattava, era deluso. Accusava me di non saperlo educare. Alla fine il matrimonio è finito e lui si è dileguato. Non ha retto, succede quasi sempre che uno dei due genitori fugga. Avevo contro anche i miei genitori. Mio padre era un ingegnere, mia madre un’insegnante, ma prima che Berto scrivesse Il male oscuro, anche le persone acculturate erano chiuse ai mali della mente. Mi dicevano di smettere di spendere tutti quei soldi con i medici e di comprargli una casa. Non capivano che lo aspettava solo il manicomio».
Mimmo cresce e le cose peggiorano. «Un giorno è scappato dall’asilo e io ho provato a rivolgermi all’Opera maternità e infanzia, un istituto napoletano in cui andavano solo le persone più povere», racconta. E lì avviene la svolta: i medici ricoverano Mimmo, riconoscono che si tratta di autismo e indirizzano la mamma al professor Bollea: «La prima cosa che mi ha detto è stata di non fare l’errore di tutti i genitori che dicono “tanto non potrà mai diventare come gli altri”. Lui mi ha fatto capire che qualunque cosa ci fosse da recuperare sarebbe stata una grande conquista e ho ingaggiato una mia battaglia personale, oltre che per amore di Mimmo».
Ma non era finita perché Mimmo peggiorava. Si rifiutava di mangiare cibi solidi, Iole lo ha nutrito con un tuorlo d’uovo, un bicchiere di latte e qualche pezzo di cioccolato fino all’età di 9 anni e mezzo. «Voleva camminare solo sui miei piedi, non mi guardava mai negli occhi, era aggressivo, faceva scenate per la strada, ogni passeggiata era un incubo. Così Bollea mi ha consigliato di ricoverarlo all’Elaion di Eboli. Era un posto straordinario, un villaggio aperto, senza cancelli né sbarre, in cui i ragazzi vivevano in case con i tutor, andavano a scuola e in piscina da soli. Per me è stato un colpo tremendo accettare il suo ricovero. Avevo un negozio di abbigliamento femminile in via Guantai Nuovi e ogni giorno andavo fino a Eboli solo per guardarlo da lontano e respirare la sua stessa aria».
Ma all’Elaion Mimmo ritrova la vita, tesse nuovi rapporti. Nessuno ha paura di lui e lui capisce che non deve avere paura del mondo. Quando esce dopo quattro anni, è un ragazzo nuovo. Mamma Iole ha cominciato a leggere, a studiare, segue diligentemente i consigli di Bollea, porta il figlio a fare psicoterapia tre volte alla settimana e lei stessa si sottopone a sedute di sostegno (erano gli anni ’70 n.d.r), si sobbarca tutti gli oneri economici. Rinuncia a tutto, anche a ricostruirsi una famiglia, lei che era bella da togliere il fiato. Trova un impiego a Mimmo e lo fa a modo suo, da persona speciale qual è: «A Secondigliano c’era una tipografia che aveva perso l’uso dei macchinari nel terremoto dell’80», ricorda, «e io mi sono offerta di aiutarli. A una condizione: dovevano prendere Mimmo con loro. Non chiedevo uno stipendio per lui, solo un lavoro tra persone perbene».
E poi accade quello che Frank Capra potrebbe definire un miracolo. E che forse un po’ lo è davvero. Iole la chiama “magia”: «Un giorno di 20 anni fa entra nel mio negozio un ragazzo: “Lei non sa chi sono io”, mi dice. Invece lo avevo capito perché somigliava a Mimmo: era suo fratello. Il mio ex marito si era risposato e aveva avuto Antonio e ora lui era lì davanti a me. “Ho bisogno di un lavoro, ma non voglio soldi”, mi diceva». E così Antonio scopre di avere un fratello e accade l’inimmaginabile: si “innamora” di Mimmo, lo coinvolge, lo porta in giro con sé. Costringe anche il padre a fare i conti con lui. L’uomo è molto malato a causa di un ictus e Mimmo da quel momento non lo lascerà mai più solo, lo accudirà per nove lunghi anni, ogni giorno darà il cambio alla seconda moglie del padre, si occuperà delle medicine, accorto e diligente, gli terrà la mano fino all’ultimo giorno.
La devozione di Mimmo al padre è toccante, ancora di più se messa in rapporto con l’assenza dell’uomo, un albergatore di 13 anni più grande della signora Ioele. «Il mio percorso mi ha portato a comprendere perché il mio ex marito si è comportato in quel modo», spiega Iole. «Lui non ha mai fatto un regalo a Mimmo, neppure una biro a Natale, non ha pagato mai le 70 mila lire stabilite dal tribunale per il mantenimento, ha perso la patria potestà. Se lo avesse fatto avrebbe dovuto ammettere di avere avuto un figlio imperfetto ».
L’incontro con il fratello Antonio cambia la prospettiva della vita di Iole e Mimmo. «Non solo ho trovato un lavoro al ragazzo, che oggi ha 38 anni ed è un dirigente, ma da quel momento non è più uscito dalla nostra vita», racconta. «Lui e la moglie, una ragazza straordinaria, hanno voluto che io facessi da baby sitter al figlio, e per me è stato un dono, una gioia infinita. Oggi posso chiudere gli occhi tranquilla perché so che questa coppia si prenderà cura di Mimmo. Io che ho conosciuto la disperazione, ho trovato la serenità».
«Nonostante sia stata la tragedia della mia vita mi sento vincente», spiega. «La malattia di mio figlio è stata un’occasione che mi ha resa migliore. Non la vivo con frustrazione, non mi sento prostrata dalla tragedia. Addolorata lo sono sempre, ma c’è pure un senso di vittoria sul male. Nonostante abbia una vita diversa, sono già paga di questo miracolo che è avvenuto. Mio figlio oggi è felice, può contare sul fratello, adora il suo nipotino. Sì, parla della fidanzata, c’è il desiderio del sesso, vorrebbe l’auto, ma sono cose che si riescono a gestire e io sono serena».
Mimmo oggi conduce una vita dignitosa: legge, ascolta la musica, si interessa a programmi televisivi, anche di politica, va alle presentazioni alla Feltrinelli o alla Fnac (in una di queste ha fatto amicizia con Valeria Parrella che, prima di vincere il Campiello, lavorava come commessa). Lo chiamano a casa per ricordargli gli eventi, lui prende i depliant e si segna sul calendario gli appuntamenti da seguire. Iole mantiene sempre le regole: orari di rientro e telefonate per avvertire se c’è un ritardo.
«Vedete, la difficoltà sta nel fatto che nell’autismo precoce ci si trova davanti a un palazzo senza fondamenta, bisogna insegnare tutto a un ragazzo che non ha imparato a vivere, a relazionarsi», conclude la signora Ioele. Bruno Bettelheim li chiama “la fortezza vuota”, è il titolo di un suo libro famoso. «Spesso noi genitori non siamo in grado di aiutarli. Qualche volta siamo di ostacolo. Mimmo è riuscito a mangiare cibi solidi solo dopo il distacco da me. Non avevo il ruolo per farlo. La mia bravura è stata quella di saper scendere nel suo mondo psicotico per riportarlo nel nostro. Partivo da un “sì” a qualunque sua richiesta. E davanti a un gesto violento, quando rompeva qualcosa, per esempio, invece di sgridarlo, di punirlo, cercavo di capire il motivo per cui lo faceva. Questo lo ha fatto sentire sempre capito. Ci sono voluti anni perché questo messaggio arrivasse. Ma ci sono riuscita».
(di Francesca Amendola & Mario Raffaele Conti)
E' un articolo che riguarda una signora della nostra Regione, è un articolo che non parla della solita riflessione scientifica sul caso, ma mette sul tavolo quello che, nel migliore dei casi, realmente accade nella realtà.
Una storia vera e toccante che deve essere lo spunto per discutere, partendo dalla pubblicazione delle "Linee guida sull'Autismo" dall’Istituto Superiore di Sanità, su questo disturbo del neurosviluppo che secondo i dati della Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile ha un’incidenza che varia da 2 a 5 persone ogni 1000, a seconda dei criteri diagnostici impiegati.
E' il segno della nostra prestata attenzione al problema, e non è cosa da poco.
Una storia vera e toccante che deve essere lo spunto per discutere, partendo dalla pubblicazione delle "Linee guida sull'Autismo" dall’Istituto Superiore di Sanità, su questo disturbo del neurosviluppo che secondo i dati della Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile ha un’incidenza che varia da 2 a 5 persone ogni 1000, a seconda dei criteri diagnostici impiegati.
E' il segno della nostra prestata attenzione al problema, e non è cosa da poco.
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